Vi propongo una breve versione del mio intervento all'incontro di presentazione del progetto Living Heritage (Bari, 13 marzo 2014).
Un progetto che intende portare un po' di novità nel mondo della comunicazione per i beni culturali. E dal momento che non ci si può mica lamentare sempre, e che è invece molto meglio mettersi in gioco in prima persona, ecco a voi come mi immagino il ruolo delle Università, fra formazione e ricerca in questo nuovo modo (forse innovativo, auspicabilmente più vivo, sicuramente divertente), di fare archeologia.
Tutti dicono che, nel campo dei beni culturali, servono tante cose nuove. C'è chi invoca politiche nuove, chi auspica nuovi modelli di business, chi ammonisce della necessità di fare rete. Living Heritage si è affidato a dei manifesti (a breve ne discuteremo sulla pagina Facebook).
Ma se c'è una cosa su cui tutti (me compreso) concordano, è la necessità di nuovi rapporti fra gli attori di questo scenario.
Che si fa allora? Ovviamente una bella festa di fidanzamento.
Se i beni culturali sono una fondamentale prospettiva di sviluppo e da noi non si sviluppa granché, probabilmente bisogna cercare i punti in cui il meccanismo si inceppa ...
... e risolverli.
Come archeologo posso suggerire alcuni di questi punti, ben evidenti (direi a chiunque abbia un po' di buon senso, non certo solo ai 'tecnici' o agli 'addetti ai lavori') nel rapporto fra formazione, valorizzazione e prospettive occupazionali.
Cominciamo. Parliamo di archeologia? Ecco alcune delle mie definizioni preferite. Sapete trovare quella giusta? O sono tutte giuste? Comunque sia, l'archeologia, stando a chi la definisce, può essere tante cose diverse, ma in fin dei conti si tratta solo di studio, divertimento, ricerca.
Lavoro, questo mai.
- un lavoro umiliante, sottopagato, fuori da ogni logica di mercato.
- una professione, ancora oggi, inesistente.
- una politica che preferisce intervenire a pioggia con bandi di tirocinio invece di spingere verso l'indipendenza.
- una valorizzazione che da noi stenta a diventare un sistema, ma che altrove è una vera e propria industria. Dinamica, moderna, efficace.
Le vignette sono di Francesca Giannetti |
Ed è esattamente questo che insegniamo all'Università: a studiare per diventare (o almeno provarci) ricercatori (quanto alla definizione 2, fate voi ...). Lo facciamo cullando gli studenti in un ambiente irenico, senza aiutarli a trovare un lavoro, e senza insegnare loro come connettersi con il mondo reale; quello fatto di relazioni, professioni, opportunità. Il mondo del lavoro e quello, più vasto e degno di un'economia evoluta, di un utilizzo creativo, inedito e moderno, delle competenze.
A questo punto qualcuno dirà "Ma no, non è vero! Ci sono le tecnologie, e corsi di studio specifici. L'archeologia è cambiata".
...
E' vero, Ci sono corsi che insegnano a usare le tecnologie. Ma ancora una volta lo fanno per lo studio e per la ricerca. Per aumentare la conoscenza. Ma gli archeologi, anche quelli ipertecnologizzati, che fanno quando hanno finito di studiare, se non vogliono (e visto che non possono) fare ricerca? Quei famosi archeologi 'medi' a cui non pensa nessuno che cosa trovano una volta finiti gli studi?
Trovano un mondo fatto così:
- una professione, ancora oggi, inesistente.
- una politica che preferisce intervenire a pioggia con bandi di tirocinio invece di spingere verso l'indipendenza.
- una valorizzazione che da noi stenta a diventare un sistema, ma che altrove è una vera e propria industria. Dinamica, moderna, efficace.
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Ma che cosa possiamo fare adesso? Certo, potremmo riformare la formazione (bella questa ...), ma, a parte il fatto che lo abbiamo già fatto solo una decina di anni fa, ci toccherebbe aspettare altri dieci anni per vedere i primi effetti. Ma di questo passo fra dieci anni l'archeologia sarà sparita, e non parlo di muri crollati e affreschi rubati, ma del dissolvimento di una intera generazione di archeologi.
Allora, invece di ricominciare da zero, non sarebbe meglio, molto meglio, ricominciare da quelle 'tre cose che ci sono riuscite nella vita', ovvero dalle competenze, dalle conoscenze e dalle professionalità dei nostri archeologi?
Allora, invece di ricominciare da zero, non sarebbe meglio, molto meglio, ricominciare da quelle 'tre cose che ci sono riuscite nella vita', ovvero dalle competenze, dalle conoscenze e dalle professionalità dei nostri archeologi?
Ecco il motivo della nostra appassionata partecipazione a questo progetto: dimostrare come i professionisti che formiamo (che sono tali anche se non riconosciuti ...) possono diventare il carburante necessario a far muovere i macchinari di una moderna industria creativa.
La logica della co-creazione e della co-progettazione proposta da Living Heritage sembra infatti perfetta per mettere in moto un meccanismo inedito che sappia immaginare forme di interazione fra patrimonio e pubblico che non “anche se”, ma piuttosto “proprio perché” consapevoli e rispettose della dimensione scientifica, risultino dinamiche, coinvolgenti e moderne.
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