Torniamo oggi a discutere di un tema che mi sta molto a cuore, quello della presunta supremazia italiana nel campo della cultura a livello internazionale, provando in qualche maniera a superare questa sindrome e la conseguente ansia che si innesca ogni volta che si ragiona sulla effettiva misurabilità del nostro patrimonio.
Che una concezione così dogmatica e radicale non solo non sia affatto innocua, ma rappresenti piuttosto una delle tante radici della lunga crisi dei beni culturali in Italia è infatti una mia precisa convinzione. Indissolubilmente associata alla visione "mineraria" del patrimonio stesso, contribuisce a rafforzare il mito di un patrimonio inteso come una risorsa da "estrarre" da quanti si auspicano una nuova corsa a questa risorsa, oro, petrolio o diamanti che siano.
Lo sentiamo dire un po' dappertutto, le rare volte ad esempio che la politica e i media si occupano di noi. In rete, poi, sono disponibili centinaia di siti, discussioni, ecc. che avallano questa visione, e altrettanti che ne dimostrano, con varie prove, l'infondatezza. Curiosando qua e là ci si accorge subito che una delle unità di misura più utilizzate è la lista dei siti Patrimonio dell'Umanità dell'Unesco, comodamente consultabile sul web o tramite specifica app. Non ho certo intenzione di rifare qui analisi già fatte, ma solo un rapido calcolo ...
... il cui risultato è immediato: siamo i primi!
L'ordine di arrivo nel gran premio dei siti patrimonio dell'umanità non lascia dubbi. Con un indiscutibile 47 l'Italia stacca, pur di poco, la Spagna (44). Sul podio sale anche il gigante cinese (43), che, volendo limitare la contesa al vecchio continente, lascia la posizione alla Francia e ai suoi rispettabili 38 siti.
Quindi dovrei chiudere qui questo post e riprendere in mano trowel, pala e piccone (sono un archeologo) e ricominciare la mia attività 'estrattiva' per dare il mio contributo alle italiche glorie.
Oppure mi potrei soffermare sul pensiero che difficilmente possiamo parlare di supremazia, né tantomeno vantare valori schiaccianti (47 su 936 = 5,02%. Per intenderci il risultato spagnolo è il 4,7%). Usando questo metro potremmo al massimo dire di essere in linea con i paesi occidentali. E' evidente osservando ad esempio la rappresentazione geografica dei dati sul planisfero: fra i vari gradienti di colore che indicano la densità dei siti non c'è traccia di un tono accesissimo sulla sagoma del nostro paese.
E allora, che spiegazione possiamo dare? A me ne vengono in mente due:
1. Scandalo! Siamo la culla della cultura mondiale ma evidentemente nelle stanze dell'Unesco è in atto un complotto internazionale che prevede la ratifica di siti ridicoli pur di evitare che l'italica supremazia debordi e finisca col mortificare l'intero pianeta.
2. Senza accanirsi in sterili conte di luoghi e siti, è evidente che siamo una nazione ricca di storia e di cultura (probabilmente più di altre, lo concedo!) ma non gli eredi di una civiltà extraterrestre superevoluta.
- - -
Io non so dire infatti se il nostro patrimonio debba essere considerato straordinario, normale o inferiore a quello di altri paesi; credo anzi che sia inutile, se non dannoso, saperlo, e soprattutto stupido farne un vessillo di orgoglio nazionale.
Proprio perché l'Italia possiede un patrimonio culturale di prim'ordine diviene interessante invece cercare le cause dello scandaloso ritardo che esiste nella sua valorizzazione come risorsa. Su questo punto abbiamo solo l'imbarazzo della scelta: cecità della politica, inettitudine della pubblica amministrazione, autoreferenzialità di ricerca e formazione, incapacità di fare sistema. Sono questi i fattori per cui arranchiamo rispetto a paesi più organizzati e dotati di adeguate strategie e investimenti.
Anche nei beni culturali dunque la causa più profonda della stagnazione in cui viviamo è che l'Italia non sa innovare e di conseguenza rinnovarsi. Per scuoterci questo torpore di dosso non abbiamo bisogno di miti e dogmi, ma piuttosto di una visione più serena e più laica, più pacifica e razionale. Una visione che porti ad una (nuova) politica dei beni culturali, in cui, senza millantare primati ed eccellenze e senza rincorrere gran premi internazionali, si punti a obiettivi concreti in termini di sviluppo.
E in cui, alle fondamentali considerazioni sull'importanza di fare cultura e tramandare la memoria, si affianchino (senza mai sostituirle, ma piuttosto legittimandole) le altrettanto imprescindibili istanze della creazione di un sistema economico sostenibile.
Vai all'aggiornamento del 26 giugno 2013.
Vai all'aggiornamento del 26 giugno 2013.
Nessun commento:
Posta un commento